Di arch. Marco Capellini
“Uno sviluppo che soddisfa le esigenze del presente senza compromettere la possibilità per le generazioni future di soddisfare i propri bisogni” (WCED, 1987). Sono passati ventitré anni da quando la Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo – nell’oramai famoso “Our common future” meglio conosciuto come Rapporto Brundtland – definiva e poneva all’attenzione della comunità internazionale il nuovo approccio ai temi della crescita economica e della tutela dell’ambiente: lo sviluppo sostenibile.
Già nel 1980 l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), il WWF e la FAO – nella sezione “Verso lo Sviluppo Sostenibile” della “Strategia mondiale per la Conservazione” – identificava nella povertà, nell’incremento demografico, nelle iniquità sociali e nel regime del commercio internazionale, le principali cause di degrado ambientale, proponendo possibili azioni orientate alla conservazione e all’uso sostenibile delle risorse naturali. Si affermava in quegli anni l’esigenza di affrontare le questioni legate alla crescita economica e al degrado ambientale – che ogni attività economica inevitabilmente genera sull’ambiente – attraverso l’adozione di un nuovo approccio in grado di integrare due fenomeni apparentemente antitetici.
Lo sviluppo sostenibile rappresenta infatti un punto di incontro tra le problematiche strettamente ambientali e quelle inerenti la crescita economica, tra la società civile e i responsabili delle politiche economiche nazionali ed internazionali. Se fino a quel momento le politiche ambientali si limitavano a colpire gli effetti di una crescita economica che modificava troppo rapidamente l’ambiente – creando una situazione in cui la velocità di questi cambiamenti era superiore alla capacità dell’ambiente di adattarsi ad essi – l’imperativo dello sviluppo sostenibile diventava l’integrazione tra crescita e ambiente; tra la produzione di beni e servizi e la conservazione delle risorse naturali ed ambientali. Il punto cruciale del Rapporto Bruntdland riguardava la possibilità di avviare i sistemi economici moderni su un sentiero di crescita che assicurasse alla generazione presente la soddisfazione dei propri bisogni di consumo e di utilizzo del tempo libero senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Si affermava quindi la necessità di considerare nelle decisioni di produzione e consumo la nozione di equità intergenerazionale ovvero che si lasciasse in eredità alle generazioni future un ammontare di ricchezza e di benessere – in termini di stock delle conoscenze, delle tecnologie, di beni capitali e di risorse ambientali – non inferiore a quello che la generazione presente aveva ricevuto dalle generazioni precedenti.
In generale, lo sviluppo sostenibile veniva proposto come uno sviluppo economico di lungo periodo che includeva la protezione dell’ambiente nelle decisioni di investimento e produzione, che mirava a ridurre il degrado ambientale agendo sulle cause piuttosto che sugli effetti, anticipando e prevenendo i danni ambientali, producendo di più con meno e utilizzando energie rinnovabili ed efficienti. La sostenibilità si fonda sull’idea che i sistemi economici di produzione e consumo sono parte integrante di un sistema globale più ampio – l’ambiente – che è il serbatoio di tutti i fattori della produzione e nello stesso tempo il contenitore di tutti i rifiuti prodotti dalle attività economiche. Questo ambiente ha una capacità limitata nella fornitura di fattori della produzione e nell’assorbimento dei rifiuti e degli scarti dei processi produttivi. Le modalità con cui concretamente si può realizzare una crescita economica sostenibile vengono a dipendere perciò dalla sostituibilità tra fattori naturali e fattori “costruiti” dall’uomo; dall’intensità con la quale lo stock delle risorse naturali non rinnovabili viene utilizzato rispetto a fattori sostitutivi e a risorse rinnovabili; dalla capacità dell’ambiente di assimilare i rifiuti prodotti; dalla numerosità della popolazione globale e dai livelli di consumo pro capite. Il concetto di sviluppo sostenibile sottintende due elementi chiave: i bisogni delle generazioni presenti e delle generazioni future; i limiti imposti dallo stato della tecnologia, dall’organizzazione sociale e dalla capacità dell’ambiente di fornire “qualità ambientale” e assorbire i rifiuti prodotti.