Di arch. Marco Capellini
Dalla seconda metà degli anni ’80, la problematica ambientale – legata alla “insostenibilità” degli attuali stili di vita, di produzione e di consumo, all’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali ed energetiche, all’inquinamento e al cambiamento climatico – è salita alla ribalta del dibattito economico e politico della comunità internazionale, avviando un processo di forte sensibilizzazione che ha investito le istituzioni, le imprese e i consumatori.
In questo contesto si inserisce l’Ecodesign o Design for Environment (DfE), una metodologia finalizzata all’integrazione degli aspetti ambientali nella progettazione e nello sviluppo di un prodotto, di un servizio o di una combinazione prodotto/servizio.
Nel corso degli anni, gli impatti ambientali legati alla produzione, all’uso di prodotti di largo consumo e allo smaltimento dei rifiuti sono diventati oggetto di crescente attenzione soprattutto sotto la spinta di una legislazione comunitaria ed internazionale sempre più restrittiva.
Con il principio della Responsabilità estesa del produttore vengono introdotte norme che obbligano quest’ultimo a farsi carico tecnicamente ed economicamente del recupero e del riciclo dei suoi prodotti giunti al termine della vita utile. Un principio applicato sino ad oggi al settore degli imballaggi, delle auto e dei prodotti elettrici ed elettronici ed in fase di applicazione per altri comparti produttivi.
Sempre in ambito legislativo grande rilevanza viene attribuita alla riduzione del consumo energetico dei prodotti durante la fase d’uso e all’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale (riciclati, naturali o prodotti con principi di salvaguardia ambientale).
Inoltre con il “Green Public Procurement” sono coinvolte le pubbliche amministrazioni ad adottare criteri ambientali nelle procedure d’acquisto di beni e servizi. L’Italia è stata tra i primi Paesi ad aver introdotto una norma che stabilisce per le pubbliche amministrazioni di coprire il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti in materiale riciclato nella misura del 30%.
L’ecodesign diventa lo strumento ideale per migliorare sensibilmente le prestazioni ambientali di un prodotto in tutto il suo ciclo di vita perché agisce già nelle fasi di ideazione e progettazione andando a razionalizzare l’uso dei materiali, ottimizzare le tecniche di produzione e il sistema distributivo, minimizzare il consumo di energia, rendere più agevole la fase dello smaltimento finale del prodotto.
Se la più grande sfida del XXI secolo consiste nel tradurre in realtà un’idea che può sembrare astratta come quella dello “sviluppo sostenibile”, l’ecodesign può giocare un ruolo fondamentale nel rendere concretamente più eco-compatibili i prodotti che produciamo e consumiamo.
Valutare e migliorare l’impatto ambientale di un prodotto durante l’intero ciclo di vita può essere in alcuni casi un’azione molto articolata soprattutto per prodotti complessi, caratterizzati da diversi componenti e materiali come automobili ed elettrodomestici.
Per questo motivo è importante, prima di intraprendere qualsiasi azione di ecodesign, definire la strategia di intervento e gli obiettivi finali che si intendono raggiungere: riduzione del consumo di risorse ambientali, impiego di materiali derivanti da risorse rinnovabili o dal riuso e riciclo di altri prodotti, riduzione della produzione di rifiuti, dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti.
Attraverso l’analisi del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Assessment- LCA), dalla fase di selezione dei materiali fino a quella di dismissione e riciclo, è possibile capire dove si determinano i maggiori impatti ambientali di un prodotto e di conseguenza definire le successive modalità di intervento.
Se consideriamo l’analisi del ciclo di vita di una lavabiancheria, la fase di utilizzo rappresenta la maggiore criticità di impatto ambientale per via dei consumi di energia e di acqua, mentre in altri casi, per prodotti meno complessi – come ad esempio una sedia dove la fase di utilizzo non comporta nessun tipo di impatto ambientale – le maggiori criticità sono rappresentate da altri fattori come i materiali utilizzati, il processo produttivo o la fase di smaltimento e successivo riciclo.
Con la strategia del Design for Disassembling si può intervenire al fine di prevedere e quindi facilitare la separazione di tutti i componenti del prodotto per ottimizzarne il riuso (Design for Reuse) e il riciclo (Design for Recycling).
Erroneamente si utilizza il termine “riciclo” per identificare anche i prodotti ottenuti con il “riuso” di parti o componenti di manufatti.
Per “riuso” si intende la valorizzazione di un bene o di un componente divenuto rifiuto attraverso il suo reimpiego nella forma originaria: borse realizzate con gli elastici usati, lampade realizzate con bottiglie in plastica recuperate, sedie composte da pezzi metallici di auto o elettrodomestici dismessi.
Per “riciclo” si intende, invece, il processo di valorizzazione di beni giunti a fine vita o di scarti di lavorazione attraverso il ritrattamento in un nuovo processo produttivo, per l’ottenimento di altri materiali o beni che possono svolgere la funzione originaria o diverse finalità. Nel processo di riciclo il prodotto-rifiuto o lo scarto di produzione vengono trasformati in materia prima detta secondaria – scaglie, polvere o granulo – per poi essere nuovamente rilavorati.
Nella fase di progettazione di un nuovo prodotto la scelta di materiali, riciclati o naturali, rappresenta un aspetto rilevante perché può incidere positivamente sul bilancio ambientale complessivo. Basti pensare che l’impiego di alluminio riciclato permette di risparmiare fino al 95% di energia rispetto all’utilizzo di alluminio vergine o primario con l’evidente riduzione di inquinamento atmosferico, emissione di CO2 e rifiuti in discarica. Questa via non è sempre percorribile per le caratteristiche tecniche che alcuni componenti del prodotto devono possedere.
È da sottolineare come nella progettazione di un prodotto realizzato con materiali riciclati debba essere tenuta in considerazione anche la successiva riciclabilità per favorire l’allungamento del suo ciclo di vita; laddove non fosse tecnicamente ed economicamente possibile, la eco-compatibilità di un prodotto realizzato in materiale riciclato ma non riciclabile dovrebbe essere valutata sulla base di un attento confronto dei benefici ambientali, economici e sociali – derivanti dalla riduzione nel consumo di risorse ambientali esauribili, dalla minore quantità di energia incorporata, dalla riduzione nella produzione di rifiuti da avviare in discarica e dalla sua possibile valorizzazione energetica – con i relativi costi anch’essi ambientali, economici e sociali. Diventa fondamentale nel processo di riciclo l’impiego di tecnologie “pulite” a bassa intensità energetica.
L’impresa e, più nello specifico, il progettista diventano attori principali nello sviluppo dei nuovi prodotti, nella ri-progettazione del ciclo produttivo e del prodotto in una o più fasi con l’intento di minimizzarne impatti ambientali e costi economici.
Oltre alla qualità, all’ergonomia, alla sicurezza, all’estetica, alla funzionalità, la variabile ambientale diventa cosi un criterio innovativo per ripensare in modo “sostenibile” la progettazione del prodotto.